Bruno Barberis – Riflessioni su “Significato, struttura e storia del rito della S. Messa” 5^ parte
Cari soci e amici dell’Amcor,
siamo arrivati alla 5^ puntata della storia del rito della S. Messa. Nel ringraziare di tutto cuore l’amico Bruno Barberis per questo assai impegnativo e interessantissimo lavoro ricordo che:
Sabato 23 ottobre 2021 alle ore 15,30 presso la Chiesa SS. Sudario (Via Piave angolo Via San Domenico)
avremo un incontro con Bruno Barberis che avrà per titolo “Cenni storici sul rito della Santa Messa”, con dibattito.
Seguirà alle ore 18,00 la Santa Messa celebrata da Don Giuseppe.
In questa 5^ puntata Bruno, inizialmente, ci fa conoscere i principali esponenti della Riforma protestante, evidenziando anche, in particolare, le diverse posizioni riguardanti l’Eucarestia.
In questo studio Bruno arriva, poi, fino al Concilio di Trento (1545-1563) e alla edizione del messale tridentino ad opera di Papa San Pio V (1570), messale che regolò la celebrazione dell’Eucarestia per i successivi 4 secoli. Arriviamo, dunque, alle soglie del Concilio Vaticano II (1962-1965) e del nuovo Messale di Papa Paolo VI (1969).
Lo studio che Bruno ci propone è particolarmente attento alle deliberazioni del Concilio di Trento in merito al tema dell’Eucarestia, deliberazioni che hanno interessato tre importanti sessioni del Concilio, e ci riporta una sintesi di questi importanti decreti. Bruno ci propone inoltre delle sintesi che richiamano anche i problemi e il dibattito dei secoli successivi sul tema della S. Messa, sintesi che ci danno un’idea dei fermenti che poi portarono alle riflessioni e deliberazioni del Concilio Vaticano II.
E’ un’epoca storica quella dei secoli 1400 e 1500 caratterizzata da importanti fatti storici, scoperte scientifiche, scoperte geografiche, meraviglie artistiche, faticoso cammino della cristianità nonché drammatiche vicende belliche.
Senza alcuna pretesa di essere esaustivo, ma con il solo intento di fornire qualche riferimento che permetta di avere un quadro storico del contesto in cui è maturato il Concilio di Trento, di seguito elenco qualche data, nome, fatto.
Nel 1453 Costantinopoli era stata conquistata dai Turchi guidati da Maometto II. Nel 1492 Cristofero Colombo scopriva l’America e Ferdinando e Isabella di Castiglia completavano la riconquista della Spagna sconfiggendo l’ultimo dei governanti mussulmani di Granada. In quello stesso anno, 1492, purtroppo fu emesso anche il decreto di espulsione degli ebrei dalla Spagna.
Nel 1517 Lutero (1483-1546) pubblica le sue 95 tesi sulle indulgenze, che aprono il cammino della Riforma protestante. Nel 1520-1521 si ha la scomunica di Lutero da parte di Papa Leone X. Nel 1555 la Pace di Augusta sancì la divisione della Germania tra cattolici e protestanti e stabilì il principio: “Cuius regio eius et religio” che imponeva ai sudditi la stessa religione del loro re. Non possiamo dimenticare Enrico VIII (1491-1547) con la fondazione della Chiesa Anglicana (1534).
Cito anche l’imperatore Carlo V (1500-1558) e il sacco di Roma (1527) ad opera delle sue truppe i Lanzichenecchi, era Papa Clemente VII che si salvò rifugiandosi in Castel Sant’Angelo. Nel 1529 ci fu il primo assedio di Vienna da parte del Sultano Solimano il Magnifico, il successivo assedio fu nel 1683, entrambi con la sconfitta dei Turchi che erano arrivati fin nel centro dell’Europa.
Come non ricordare la cosiddetta “guerra dei contadini tedeschi”, rivolta per motivi economici e religiosi, che, tra il 1524 e il 1526, provocò oltre centomila morti. Nel 1572, nel giorno di San Bartolomeo 23-24 agosto, si realizzò in Francia la strage degli Ugonotti.
Nel 1571 si ebbe lo scontro navale di Lepanto con la vittoria della flotta cristiana su quella dei Turchi. Nel 1578 la S. Sindone fu trasferita a Torino, ove è tutt’ora, per consentire la visita del Cardinal Borromeo (1538-1584).
Circa le scoperte geografiche desidero ricordare i nomi di Amerigo Vespucci (1454-1512) il quale comprese che Colombo aveva raggiunto non le Indie ma un nuovo continente che prese il suo nome “le Americhe”, di Vasco de Gama (1469-1524) che giunse in India doppiando il Capo di Buona Speranza nell’attuale Sud-Africa, Magellano (1480-1521) che fu il primo a passare dall’oceano atlantico a quello pacifico (stretto di Magellano).
Per le scoperte scientifiche ricordo solo i nomi di Copernico (1473-1543) che affermò il sistema eliocentrico, Galileo Galilei (1564-1642) per i suoi studi sul metodo scientifico, di fisica e di astronomia anche attraverso il cannocchiale. Per l’arte è questo il periodo del Rinascimento e basta da solo questo richiamo insieme al nome di Michelangelo (1475-1564) e di papa Giulio II (1443-1513), poi Raffaello (1483-1520), Botticelli (1444-1510), Leonardo (1452-1519), ecc. …..
Vorrei da ultimo ricordare le figure del Macchiavelli (1469-1527), del Savonarola (1452-1498), di Sant’Ignazio di Loyola (1491-1556) fondatore dell’ordine dei Gesuiti (1534). Tanti altri andrebbero ricordati, come Erasmo da Rotterdam (1466-1536), ma spazio e tempo non ce lo consentono.
Il secolo successivo fu caratterizzato, tra l’altro, in Europa dalla terribile guerra dei trent’anni (1618-1648) che fa anche da contesto storico ai manzoniani “Promessi sposi”, con la terribile pestilenza del 1630.
Ringrazio ancora di cuore l’amico Bruno per questo lavoro già in sé importantissimo e che, inoltre, ci spinge a non fermarci per conoscere meglio e, soprattutto, vivere più intensamente e consapevolmente la S. Messa.
Invio a tutti un cordiale saluto, con il desiderio di rivederVi, per quanti sarà possibile, sabato 23 ottobre (ore15,30 Chiesa del SS: Sudario) all’incontro con Bruno.
Contardo Codegone
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Bruno Barberis
SIGNIFICATO, STRUTTURA E STORIA
DEL RITO DELLA S. MESSA
1. LA STORIA
1.9. La messa nell’Epoca Moderna (XVI-XIX secolo)
1.9.1. La riforma protestante
L’affissione delle famose 95 tesi sull’efficacia delle indulgenze da parte del monaco agostiniano Martin Lutero alla porta della chiesa del castello di Wittenberg in Germania, che diede convenzionalmente origine alla riforma protestante, risale al 31 ottobre 1517. Il movimento protestante, rappresentato soprattutto dai suoi tre maggiori esponenti – il tedesco Martin Lutero (1483-1546) e gli svizzeri Ulrico Zwingli (1484-1531) e Giovanni Calvino (1509-1564) -, appuntò le sue critiche anche sull’eucaristia e sul culto che ad essa veniva rivolto, contestandone in modo radicale le modalità di celebrazione che avevano caratterizzato i secoli precedenti, mettendone in discussione sia il fondamento dogmatico sia i riti tradizionali, negandone il carattere sacrificale e rivendicando l’uso della lingua viva e il diritto dei fedeli alla comunione al calice.
In quell’epoca la grandiosità del culto eucaristico non trovava corrispondenza nella frequenza, sempre ridottissima, dei fedeli alla comunione. Da tempo, come già sottolineato nel § 1.7, si era assai diffuso il fenomeno devozionale della “visione dell’ostia” che, a partire dalla fine del XII secolo, aveva determinato l’inserimento nel canone del rito dell’elevazione dell’ostia e del calice, con relativo suono di campane per avvisare i fedeli che era tempo di entrare in chiesa. La comunione si era venuta così sempre più diradando. Tra le cause vi era sicuramente la rigidezza della prassi penitenziale che portava molti a comunicarsi solo in prossimità della morte e un’idea estrema di purificazione che provocava un senso diffuso di indegnità. Il popolo aveva sopperito alla mancanza della comunione con l’ascolto della messa che era diventato il segno massimo di autentico cristianesimo. Nella messa ci si limitava quindi ad adorare Cristo presente nell’ostia consacrata così come nei reliquiari si veneravano le reliquie dei santi. La visione dell’ostia aveva assunto pertanto un valore e un significato del tutto equivalente a quello della comunione: al posto di una presenza del corpo e del sangue di Cristo “dati in cibo”, era subentrata una presenza degli stessi “dati in visione”. Nacquero così le frequenti esposizioni del SS. Sacramento, le grandiose processioni eucaristiche, l’erezione di grandi e sontuosi tabernacoli. Il numero delle messe crebbe enormemente, ma la maggior parte di esse non era finalizzato alla comunione.
Il movimento protestante ritenne questa situazione contraria all’istituzione stessa del sacramento come era stata voluta da Cristo, che del suo corpo e del suo sangue aveva fatto esplicitamente cibo e bevanda per tutti e non solo per il sacerdote celebrante. I riformatori sostenevano che la celebrazione doveva comprendere anche la comunione con il calice per tutti i fedeli e che era “illecito e idolatrico” adorare il pane conservato nel tabernacolo, pane che per loro, una volta terminata la messa, non era più sacramento del corpo di Cristo. Affermavano inoltre che Cristo ha istituito l’eucaristia come “sacramento” e non come “sacrificio” e cioè che nell’eucaristia riceviamo tramite il sacrificio di Cristo il dono della sua grazia e che quindi la messa non può essere la “nostra opera buona” che noi offriamo a lui; il sacrificio di Cristo in croce è unico, offerto una volta per tutte, e quindi la messa non può essere un nuovo sacrificio. Sostenevano infine la necessità dell’uso nella messa della lingua popolare, considerata un elemento indispensabile nella predicazione e nell’annuncio salvifico.
La posizione polemica assunta da Lutero, Zwingli e Calvino nei confronti delle celebrazioni dell’eucaristia – che quasi sempre si concludevano senza la comunione dei fedeli -, degli abusi dovuti alla superstizione devozionalistica e dell’affarismo connesso all’offerta per le messe poteva essere compresa e giustificata. Ma il loro pensiero si spinse oltre e si separò nettamente da quello della Chiesa anche sulla verità fondamentale della presenza reale di Cristo nell’eucaristia. Nessuno di loro accettava la dottrina della transustanziazione e ognuno di essi affermava un modo diverso della presenza di Cristo nell’eucaristia. Lutero difendeva la presenza reale del corpo e del sangue di Cristo, ma solo al momento della consacrazione e della comunione, rifiutando quindi la conservazione dell’ostia nel tabernacolo e la sua adorazione. Per Zwingli il sacramento era solo “segno e figura” della presenza di Cristo che la comunione produce nei fedeli perché, essendo il corpo di Cristo in cielo, non può esservi una sua reale presenza in terra nel pane e nel vino. Per Calvino l’eucaristia era solo un’immagine simbolica in cui si realizza l’unione di Cristo con i suoi fedeli.
1.9.2. Il Concilio di Trento
Il Concilio di Trento (1545-1563), convocato per reagire alla diffusione della riforma protestante in Europa e per promuovere una riforma della stessa Chiesa, ebbe una storia assai complessa e movimentata. Fu dapprima convocato a Mantova nel 1536, poi a Vicenza e successivamente nel 1542 a Trento, ritenuto il luogo più adatto alla mediazione con i protestanti, ma venne subito sospeso a causa della guerra tra l’imperatore Carlo V e Francesco I, re di Francia. Dopo numerosi rinvii, fu riaperto nel 1545 a Trento. Due anni dopo fu trasferito a Bologna, città pontificia, e poi sospeso nel 1549 alla morte di papa Paolo III. Riaperto a Trento da Papa Giulio III nel 1551 e nuovamente sospeso un anno dopo, a causa delle guerre tra Impero e principi protestanti, fu riaperto a Trento solo nel 1562, sotto Papa Pio IV, e portato a termine a tappe forzate il 4 dicembre 1563.
Nel Concilio di Trento il problema dell’eucaristia venne affrontato, sia sul piano della dottrina sia su quello della prassi celebrativa, in tre sessioni: la XIII (1551) che promulgò il decreto sul sacramento dell’eucaristia, la XXI (1562) che promulgò il decreto sulla comunione e la XXII (1562) che approvò il decreto sul sacrificio della messa. La risposta del Concilio ai riformatori fu sostanzialmente la conferma della dottrina già nota e della prassi celebrativa in uso all’epoca; la possiamo riassumere nei seguenti fondamentali decreti:
– il corpo e il sangue di Cristo sono presenti nell’eucaristia «veramente, realmente e sostanzialmente»;
– tale presenza avviene per «transustanziazione», ovvero tramite la trasformazione della sostanza del pane nel corpo di Cristo e della sostanza del vino nel sangue di Cristo, restando del pane e del vino solo le apparenze esteriori o “specie”; tale trasformazione non avviene in virtù della fede di chi si comunica, ma in virtù delle parole pronunciate sulle specie eucaristiche;
– nel sacramento dell’eucaristia Cristo tutto intero è contenuto sotto ognuna delle due specie;
– tutti i fedeli sono tenuti ogni anno a comunicarsi almeno a Pasqua;
– il sacramento dell’eucaristia non deve necessariamente essere distribuito tutto ai fedeli, ma può essere conservato per esser portato agli infermi, per essere adorato pubblicamente e per essere portato in processione;
– la comunione sotto le due specie non è necessaria per la salvezza e pertanto l’uso della comunione sotto la sola specie del pane, introdotto gradualmente dalla Chiesa a partire dal XII secolo «spinta da gravi e giusti motivi», è ormai una legge della Chiesa che senza l’autorità della stessa Chiesa non può essere abolita;
– pur essendo desiderabile che in ogni messa i fedeli si comunichino ricevendo sacramentalmente l’eucarestia, le celebrazioni nelle quali si comunica il solo celebrante e non viene distribuita la comunione devono essere «approvate e raccomandate» perché in esse il popolo si comunica spiritualmente;
– la messa è un sacrificio perché come tale l’ha istituita Cristo stesso e quindi la grazia viene ottenuta in virtù del sacrificio di Cristo, operante nel sacrificio della messa; pertanto, pur essendo la morte di Cristo in croce il sacrificio da lui offerto una volta per tutte, la messa è il «sacrificio memoriale» di Cristo che si offre ogni volta di nuovo, come lui stesso ci ha ordinato di fare nell’ultima cena – dopo aver fatto l’offerta rituale (sotto le specie del pane e del vino) del suo sacrificio in croce – dicendo: «Fate questo in memoria di me»; pertanto «l’eucaristia è il sacrificio, lasciato da Cristo alla Chiesa nella sua ultima cena, affinché in esso fosse reso presente come memoriale perpetuo il suo sacrificio della croce» (Decreto sulla SS. Eucaristia, sessione XIII, 1740-1751).
– la messa è sacrificio propiziatorio in senso pieno sia per i vivi sia per i defunti poiché in essa si hanno in forma abbondante i frutti del sacrificio della croce;
– anche se la messa contiene abbondante materia per l’istruzione del popolo cristiano, non è opportuno che venga celebrata nella lingua del popolo; tuttavia si raccomanda ai pastori di spiegare durante la celebrazione delle messe qualche cosa di quanto viene letto, soprattutto nei giorni di domenica e festivi.
Per quanto riguarda la comunione dei fedeli al calice, il Concilio si rimise al giudizio del papa. Papa Pio IV (1565-1559) concesse subito ad alcuni paesi, soprattutto dell’Europa centrale, la comunione dei laici al calice, ma ben presto tale concessione fu revocata dal suo successore, San Pio V (1566-1572). Nel 1570 Papa San Pio V pubblicò la prima edizione del messale tridentino che avrebbe regolato la celebrazione dell’eucaristia per i successivi quattro secoli.
La riforma liturgica postridentina, troppo legata alla preoccupazione dogmatica e alla centralizzazione dell’autorità, finì per rafforzare definitivamente il processo di clericalizzazione della liturgia per cui la messa divenne un affare dei soli preti. Il popolo inerte era ridotto a seguire passivamente la messa, richiamato con frequenti suoni di campanello durante i momenti cruciali (Santo, consacrazione, comunione). Ci si preoccupava di far pregare i fedeli durante la messa con la recita del rosario, con l’artificiosa rievocazione dei momenti della Passione oppure con una predicazione del tutto staccata dal rito che si stava svolgendo. Per intrattenere il popolo, portato alla distrazione durante una messa incomprensibile come linguaggio e come gesti, l’epoca barocca escogitò l’accompagnamento dell’organo e l’esecuzione di brani musicali, trasformando così la messa in un’occasione per ascoltare un concerto di musica sacra.
Venne ulteriormente incrementato il culto dell’eucaristia al di fuori della messa con la proliferazione delle confraternite del SS. Sacramento e l’istituzione di varie devozioni eucaristiche come le “quarantore”, consistenti nell’adorazione pubblica del SS. Sacramento per quaranta ore consecutive, e le adorazioni eucaristiche perpetue, con la celebrazione dei congressi eucaristici, ecc. Gli ostensori, sempre più elaborati artisticamente e con la tipica forma a raggiera, diventarono i simboli di un grande movimento di pietà eucaristica ormai non più incentrato sulla messa.
1.9.3. Le richieste per una vera riforma liturgica
Non bisogna dimenticare però il sorgere in questo periodo di varie scuole di spiritualità e di studio che cercarono di dare risalto alla partecipazione del sacrificio di Cristo come fondamento di ogni autentica devozione e che invocarono a più riprese riforme liturgiche che rimasero però del tutto disattese.
Ne è un esempio il già citato Sinodo diocesano di Pistoia del 1786 (si veda il § 1.8) che diede voce a fermenti riformatori, anticipatori di riforme realizzate solo due secoli dopo in seguito alla riforma voluta dal Concilio Vaticano II. Scorrendo le sessioni del Concilio si leggono affermazioni molto innovative, come ad esempio: «La liturgia è un’azione comune al sacerdote e al popolo»; «Si desidererebbe richiamare la liturgia ad una maggiore semplicità di riti, coll’esporla in lingua volgare e col proferirla con voce elevata»; «Il santo sinodo desidererebbe che i fedeli, qualunque volta vi assistono, si comunicassero», ecc. Come già detto, la reazione di Papa Pio VI con la Bolla Auctorem Fidei del 1794 fu assai dura e di totale condanna.
Un evento significativo accadde nella prima metà del XVIII secolo quando il mondo ecclesiastico italiano fu agitato da aspri contrasti in materia rituale noti come la “controversia di Crema”, originati da alcuni scritti di Giuseppe Guerreri, un sacerdote di Crema, che nelle messe da lui celebrate usava trattenere i numerosi fedeli per comunicarli esclusivamente con ostie da lui consacrate nella stessa messa perché sosteneva che i fedeli avevano il diritto di essere comunicati con ostie consacrate nella messa a cui avevano assistito. Poiché altri sacerdoti protestavano in quanto egli occupava troppo a lungo l’altare dedicato alla Vergine, ove anch’essi dovevano celebrare, intervenne il vescovo di Crema intimando al prete di non scrivere più sull’argomento e revocandogli la facoltà di confessare e di predicare. Intervenne anche papa Benedetto XIV (1740-1758), ma la sua mediazione non dette alcun risultato. Nella controversia si fronteggiavano due concezioni diametralmente opposte: da un lato il Guerreri e i suoi sostenitori che sostenevano la piena partecipazione dei fedeli al sacrificio della messa e alla celebrazione liturgica in generale e dall’altro i preti legati a una rigida mentalità controriformistica che tendevano a porre del tutto in secondo piano la partecipazione attiva dei fedeli alla messa. Nel 1742 Papa Benedetto XIV nell’enciclica Certiores Effecti, indirizzata ai vescovi italiani, pur riconoscendo il diritto dei fedeli di ricevere la comunione durante la messa, rimetteva la materia alla disciplina dei singoli vescovi che avrebbero anche potuto in alcuni casi giudicare inopportuno che il celebrante distribuisse la comunione ai fedeli. Benedetto XIV istituì una commissione per la promozione di una riforma liturgica che però non raggiunse gli intenti auspicati.
Il XVIII secolo vide la pubblicazione di diversi studi storici, teologici e liturgici riguardanti la messa. Tra gli altri ricordiamo il trattato Della regolata divozion de’ cristiani dello storico Lodovico Antonio Muratori (1672-1750), pubblicato nel 1747 e tradotto in varie lingue, nel quale l’autore traduce a favore dei fedeli i testi dell’ordinario della messa e del canone e difende il diritto dei fedeli di ricevere la comunione. Ricordiamo anche il trattato Delle cinque piaghe della Santa Chiesa del teologo e filosofo Antonio Rosmini (1797-1855), a lungo osteggiato e condannato dal Sant’Uffizio e riabilitato solo dopo il Concilio Vaticano II con la sua beatificazione nel 2007. Nel primo capitolo del suo trattato (la prima piaga) Rosmini evidenzia che la causa principale della crisi che attraversa la Chiesa è la netta separazione nel culto del clero dal popolo, le cui cause sono da ricercare nell’ignoranza religiosa e liturgica, nella tendenza del clero a formare una casta e nell’uso della lingua latina. Egli sostiene inoltre che il sacerdozio dei fedeli è il principio dei loro diritti e si pone così come un vero e proprio precursore ante litteram del nostro tempo.
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Seguiranno, con cadenza mensile, ulteriori scritti che ci aiuteranno a fare nostro in modo più consapevole il significato liturgico dell’Eucarestia, comprendendone meglio anche il valore sacramentale e teologico. Bruno ci offre, così, un percorso per approfondire e riscoprire la ricchezza del rito della Santa Messa e per aiutarci a viverla con sempre maggiore intensità e consapevolezza.
Grazie, carissimo Bruno, anche per questo importante servizio che offri a tutti noi.
Un cordiale saluto a tutti.
Contardo Codegone
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Bruno Barberis
SIGNIFICATO, STRUTTURA E STORIA DEL RITO DELLA S. MESSA
2^ Parte
1.2. Le prime comunità giudeo-cristiane
Le prime comunità cristiane erano composte da ebrei, i quali non ruppero immediatamente i legami con il giudaismo e continuarono a frequentare i riti del tempio di Gerusalemme e delle sinagoghe. Ma ad essi aggiunsero la celebrazione della frazione del pane in memoria del Signore Gesù. Lo testimonia San Luca: «Ogni giorno erano perseveranti insieme nel tempio e, spezzando il pane nelle case, prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore» (At 2, 46).
A poco a poco, però, i cristiani incominciarono a prendere le distanze dalle osservanze giudaiche, a ritrovarsi in propri luoghi di preghiera, nei quali alla lettura della Legge e dei profeti si aggiungevano i racconti della passione e della risurrezione del Signore, dei suoi miracoli, dei suoi insegnamenti. Abbandonarono anche il sabato come giorno dedicato a Dio nel riposo e nel culto, sostituendolo con il primo giorno dopo il sabato, il giorno della risurrezione di Gesù (giorno che i romani chiamavano “giorno del Sole” e che solo nel IV secolo prenderà ufficialmente in tutto l’impero romano il nome di dies dominicus, “giorno del Signore”). La Didachè descrive chiaramente i riti celebrati nel giorno del culto a Dio: «Nel giorno del Signore, riuniti in assemblea, spezzate il pane e rendete grazie dopo aver confessato i vostri peccati, affinché il vostro sacrificio sia puro» (Didachè 14, 1). E riporta anche le preghiere proclamate durante la celebrazione eucaristica: «Per l’Eucaristia rendete grazie in questo modo. Anzitutto per il calice: “Ti rendiamo grazie, o Padre nostro, per la santa vigna di David, tuo servo; tu ce l’hai fatta conoscere per mezzo di Gesù, tuo figlio. Gloria a te nei secoli!”. Poi per il pane spezzato: “Ti rendiamo grazie, o Padre nostro, per la vita e la conoscenza che ci hai concesso per mezzo di Gesù, tuo figlio. Gloria a te nei secoli!» (Didachè 9, 1-3).
1.3 Le prime comunità greco-romane
Le comunità fondate da San Paolo e da altri discepoli nelle città del mondo greco-romano erano per lo più costituite da cristiani provenienti dal paganesimo e pertanto estranei alla religione e alle usanze ebraiche. Molti di loro praticavano i banchetti sacri legati alle offerte dei sacrifici agli dei, che spesso finivano in grandi abbuffate. Paolo, nella sua prima lettera ai Corinzi, si oppone con vigore all’abuso di mescolare i banchetti pagani con la celebrazione della cena del Signore: «Quando dunque vi radunate insieme, il vostro non è più un mangiare la cena del Signore. Ciascuno infatti, quando siete a tavola, comincia a prendere il proprio pasto e così uno ha fame, l’altro è ubriaco. Non avete forse le vostre case per mangiare e per bere? O volete gettare il disprezzo sulla Chiesa di Dio e umiliare chi non ha niente?» (1Cor 11, 20-22); «Non potete bere il calice del Signore e il calice dei demòni; non potete partecipare alla mensa del Signore e alla mensa dei demòni» (1Cor 10, 21).
Negli Atti degli Apostoli san Luca racconta un’assemblea domenicale presieduta proprio da Paolo: «Il primo giorno della settimana ci eravamo riuniti a spezzare il pane, e Paolo, che doveva partire il giorno dopo, conversava con loro e prolungò il discorso fino a mezzanotte. […] Paolo spezzò il pane, mangiò e, dopo aver parlato ancora molto fino all’alba, partì» (At 20,7.11). Le celebrazioni erano allietate da canti e preghiere, che Paolo stesso raccomanda ai cristiani di Efeso: «Siate ricolmi dello Spirito, intrattenendovi fra voi con salmi, inni, canti ispirati, cantando e inneggiando al Signore con il vostro cuore» (Ef 5, 18b-19). Ne parla anche Plinio il Giovane − un avvocato romano che fece condannare a morte molti cristiani − che nel 112 in una lettera all’imperatore Traiano scrive a proposito dei cristiani: «Il loro errore consisteva nella consuetudine di adunarsi in un giorno stabilito prima del levarsi del sole e cantare tra loro a cori alternati un canto in onore di Cristo, come a un dio».
La descrizione più dettagliata di una celebrazione eucaristica, già caratterizzata da una struttura ben definita, è quella tramandataci dal filosofo e martire San Giustino che verso il 153, in un testo indirizzato all’imperatore Antonino Pio, scrive: «Noi allora, dopo aver così lavato chi è divenuto credente e ha aderito, lo conduciamo presso quelli che chiamiamo fratelli, dove essi si trovano radunati, per pregare insieme fervidamente. Finite le preghiere, ci salutiamo l’un l’altro con un bacio. Poi al preposto dei fratelli vengono portati un pane e una coppa d’acqua e di vino temperato; egli li prende ed innalza lode e gloria al Padre dell’universo nel nome del Figlio e dello Spirito Santo, e fa un rendimento di grazie per essere stati fatti degni da Lui di questi doni. Quando egli ha terminato le preghiere ed il rendimento di grazie, tutto il popolo presente acclama: “Amen”. Dopo che il preposto ha fatto il rendimento di grazie e tutto il popolo ha acclamato, quelli che noi chiamiamo diaconi distribuiscono a ciascuno dei presenti il pane, il vino e l’acqua consacrati e ne portano agli assenti. È carne e sangue di quel Gesù incarnato. Questo cibo è chiamato da noi Eucaristia e a nessuno è lecito parteciparne, se non a chi crede che i nostri insegnamenti sono veri, si è purificato con il lavacro per la remissione dei peccati e la rigenerazione, e vive così come Cristo ha insegnato. Infatti noi li prendiamo non come pane comune e bevanda comune; ma come carne e sangue di quel Gesù incarnato. Infatti gli Apostoli, nelle loro memorie chiamate vangeli, tramandarono che fu loro lasciato questo comando da Gesù, il quale prese il pane e rese grazie dicendo: “Fate questo in memoria di me, questo è il mio corpo”. E parimenti, preso il calice, rese grazie e disse: “Questo è il mio sangue”; e ne distribuì soltanto a loro. […] E nel giorno chiamato “del Sole” ci si raduna tutti insieme, abitanti delle città o delle campagne, e si leggono le memorie degli apostoli o gli scritti dei profeti, finché il tempo lo consente. Poi, quando il lettore ha terminato, il preposto con un discorso ci ammonisce ed esorta ad imitare questi buoni esempi. Poi tutti insieme ci alziamo in piedi ed innalziamo preghiere; e, come abbiamo detto, terminata la preghiera, vengono portati pane, vino ed acqua, ed il preposto, nello stesso modo, secondo le sue capacità, innalza preghiere e rendimenti di grazie, ed il popolo acclama dicendo: “Amen”. Si fa quindi la spartizione e la distribuzione a ciascuno degli alimenti consacrati, e, attraverso i diaconi, se ne manda agli assenti. I facoltosi, e quelli che lo desiderano, danno liberamente ciascuno quello che vuole, e ciò che si raccoglie viene depositato presso il preposto. Questi soccorre gli orfani, le vedove, e chi è indigente per malattia o per qualche altra causa, e i carcerati e gli stranieri che si trovano presso di noi: insomma, si prende cura di chiunque sia nel bisogno. Ci raccogliamo tutti insieme nel giorno del Sole, poiché questo è il primo giorno nel quale Dio, trasformate le tenebre e la materia, creò il mondo; sempre in questo giorno Gesù Cristo, il nostro Salvatore, risuscitò dai morti. Infatti lo crocifissero la vigilia del giorno di Saturno, ed il giorno dopo quello di Saturno, che è il giorno del Sole, apparve ai suoi Apostoli e discepoli, ed insegnò proprio queste dottrine che abbiamo presentato anche a voi perché le esaminiate» (Apologia I, 65-67).
In questa dettagliata descrizione appaiono già chiaramente presenti e distinte le due parti principali della Messa che sono rimaste le stesse per due millenni fino ai giorni nostri: la liturgia della Parola e la liturgia eucaristica. La liturgia della Parola è di origine giudaica poiché le due letture separate dal canto dei salmi e l’omelia facevano già parte dei riti che si svolgevano nelle sinagoghe; la liturgia eucaristica prende spunto dai riti compiuti da Gesù e dalle parole da lui pronunciate durante l’Ultima Cena.
Le celebrazioni si svolgevano nelle case private dei cristiani, ma a partire dall’inizio del III secolo incominciarono ad essere costruite case dotate di un luogo destinato alla preghiera: le domus-ecclesiae, ovvero le antenate delle nostre chiese. La più antica giunta fino a noi è quella costruita nel 232 a Dura Europos in Siria, dotata di un battistero e di una sala per le riunioni dell’assemblea. Risale invece ai primi anni del IV secolo la più antica chiesa cristiana conosciuta, già dotata di navata rettangolare e presbiterio, scoperta a Qirq Bize, sempre in Siria.
Era il tempo delle persecuzioni e celebrare l’eucaristia voleva dire spesso rischiare la vita. Nel 258, durante la persecuzione dell’imperatore Valeriano, Papa Sisto II e sette diaconi furono arrestati mentre celebravano l’eucaristia nel cimitero di San Callisto a Roma e poi decapitati: tra di loro vi era anche San Lorenzo. Alcuni decenni dopo, durante la persecuzione dell’imperatore Diocleziano (303-304), ad Abitène, in Africa, 49 cristiani, guidati dal prete Saturnino furono sorpresi mentre celebravano l’eucaristia e affrontarono il martirio a Cartagine, proclamando: «Non possiamo vivere senza celebrare il giorno del Signore!».