Bruno Barberis – Riflessioni su “Significato, struttura e storia del rito della S. Messa” 10^ parte
Cari soci e amici dell’Amcor,
sabato 28 maggio 2022 il carissimo amico e socio Bruno Barberis ci ha presentato il rito della S. Messa come voluto dal Concilio Vaticano II.
Bruno ci ha anche illustrato il cammino che ha portato alle scelte del Concilio.
Ci ha ricordato che la Costituzione sulla Sacra Liturgia, “Sacrosanctum Concilium”, è stata la prima Costituzione approvata dal Concilio e quasi alla unanimità dei Padri Conciliari.
Il 7 marzo del 1965 S. Paolo VI ha celebrato la prima messa in lingua italiana.
Dopo la relazione di Bruno c’è stato un ampio scambio di idee che ha toccato anche il tema della S. Messa oggi. S. Messa purtroppo poco partecipata e non solo dai giovani. Il dibattito è stato ricco di spunti e di riflessioni. Varrà certamente la pena di tornare su questo argomento centrale per il cammino di fede della Chiesa e nostro.
Ora, con la 10° puntata, Bruno, dopo aver terminato la volta scorsa la liturgia della Parola, tratta della liturgia eucaristica, la seconda delle due parti principali della Messa.
Ringrazio Bruno per questo impegnativo lavoro e lo ringrazio con il cuore pieno di gioia anche a nome di tutti Voi.
L’incontro è terminato con la S. Messa celebrata da Don Giuseppe. Ricordo che alla fine di questo mese di giugno Don Giuseppe ricorderà i 65 anni dalla sua ordinazione sacerdotale. Ci uniamo a lui nella preghiera di ringraziamento al Signore per questo grande dono.
Uniti nella preghiera vi invio un grande abbraccio.
Contardo Codegone
Potete trovare questi articoli di Bruno anche nella sezione:
INIZIATIVE – Approfondimenti -Significato, struttura e storia del rito della S. Messa o cliccando direttamente sul link:
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Bruno Barberis
2.4 La liturgia eucaristica
2.4.1 Il progetto: la cena del Signore
Terminata la liturgia della Parola, ha inizio la liturgia eucaristica, la seconda delle due parti principali della messa, durante la quale la celebrazione sposta la propria attenzione dall’ambone all’altare e all’intera aula della chiesa.
La liturgia eucaristica si articola in tre momenti: la preparazione dei doni, la preghiera eucaristica, i riti di comunione. L’Ordinamento Generale del Messale Romano così spiega la struttura generale della liturgia eucaristica: «La Chiesa ha disposto tutta la celebrazione della Liturgia Eucaristica in vari momenti, che corrispondono alle parole e ai gesti di Cristo nell’ultima cena. Infatti: 1) nella preparazione dei doni, vengono portati all’altare pane e vino con acqua, cioè gli stessi elementi che Cristo prese tra le sue mani; 2) nella Preghiera Eucaristica si rendono grazie a Dio per tutta l’opera della salvezza, e le offerte diventano il Corpo e il Sangue di Cristo; 3) mediante la frazione del pane e per mezzo della comunione i fedeli, benché molti, si cibano del Corpo del Signore dall’unico pane e ricevono il suo Sangue dall’unico calice, allo stesso modo con il quale gli apostoli li hanno ricevuti dalle mani di Cristo stesso» (OGMR, n. 72). Non si tratta pertanto di una rievocazione dell’ultima cena, bensì di una memoria ritualizzata dei fatti.
Mentre la liturgia della Parola è caratterizzata dalla presenza di vari ruoli svolti da membri dell’assemblea, la liturgia eucaristica tende a concentrare maggiormente l’attenzione sul celebrante e sugli eventuali sacerdoti concelebranti, con interventi più ridotti e rari dell’assemblea. Non bisogna però pensare che la liturgia eucaristica sia quella parte della messa nella quale l’assemblea torna a svolgere quel ruolo passivo tipico dei riti dei secoli scorsi, lasciando al solo celebrante il ruolo attivo. Non è più così e non deve tornare ad esserlo: il ruolo attivo dei fedeli è ineludibile, essendo il modo di esercitare il loro sacerdozio battesimale. Si legge infatti nell’Ordinamento Generale del Messale Romano: «La celebrazione dell’Eucaristia è azione di tutta la Chiesa. In essa ciascuno compie soltanto, ma integralmente, quello che gli compete, tenuto conto del posto che occupa nel popolo di Dio» (OGMR, n. 5). Il vescovo Teodoro di Mopsuestia, un padre della Chiesa vissuto tra il IV e il V secolo, spiegando la Messa e in particolare la preghiera eucaristica, diceva che il celebrante nel recitarla era ‘la bocca della Chiesa’, cioè di tutti i fedeli. Quindi, la liturgia eucaristica è anche la preghiera di tutti noi: infatti il celebrante non usa mai l’“io”, ma sempre il “noi”.
2.4.2 Il programma: la struttura della preparazione dei doni
La preparazione dei doni (nel passato detta offertorio) ha origini molto antiche poiché ne troviamo traccia nella descrizione di una celebrazione eucaristica tramandataci da San Giustino verso il 153 (si veda il paragrafo 1.3). La preparazione dei doni – durante la quale l’assemblea sta seduta tranne che alla sua incensazione e all’orazione sulle offerte – comprende i seguenti riti:
a) La preparazione dell’altare. L’altare, o mensa eucaristica, che è il centro di tutta la liturgia eucaristica e che dovrebbe rimanere spoglio fino a questo momento, viene preparato dal diacono e dagli accoliti ponendovi sopra alcuni oggetti sacri:
· il corporale, una piccola tovaglia incerata di forma quadrata, sulla quale il celebrante consacrerà il pane e il vino;
· il calice, nel quale verranno versati il vino e l’acqua;
· il purificatoio, un tovagliolo che viene usato per pulire il calice, le pissidi e la patena;
· la palla, una piccola tela quadrata che serve per coprire il calice;
· la patena, un piattello sul quale viene deposta l’ostia grande;
· le pissidi, che contengono le ostie piccole;
· il messale, che viene posto di fianco sopra un leggio o un cuscino;
· le ampolle, che contengono l’acqua e il vino;
· la caraffa e l’asciugatoio per il rito della lavanda delle mani.
Ampolle, caraffa e asciugatoio vengono normalmente preparate su un tavolino a parte e portate all’altare solo al momento del loro uso.
b) La processione offertoriale dei fedeli, che portano all’altare e consegnano al celebrante e al diacono i doni, in particolare le ostie, il vino e l’acqua, che, in tal caso, vengono posti direttamente sull’altare. Possono essere offerti anche altri doni non solo in denaro, ma anche in natura, destinati ai poveri o per la chiesa, che vanno deposti in un luogo adatto e visibile, ma non sopra la mensa eucaristica. La preparazione dell’altare e la processione offertoriale possono essere accompagnati da un canto che si protrae almeno fino a quando i doni sono stati deposti sull’altare. Questa processione dei fedeli ha un significato simmetrico rispetto a quella di comunione: qui i fedeli offrono il pane e il vino che poi alla comunione riceveranno trasformato in Corpo e Sangue di Cristo.
Durante la preparazione del calice il diacono o il celebrante versa insieme al vino qualche goccia d’acqua, un rito molto antico dovuto probabilmente all’usanza dei primi secoli di servire il vino, fortemente alcolico, mischiato con acqua. Tale rito è accompagnato da una breve formula che ne sottolinea il significato simbolico dell’unione della nostra natura umana con quella divina in Cristo.
c) Le preghiere di benedizione, dette dal celebrante prima sul pane e poi sul vino, con le quali si benedice Dio e gli si presenta i suoi stessi doni affinché li trasformi rispettivamente in «cibo di vita eterna» e in «bevanda di salvezza». Ad entrambe le preghiere l’assemblea risponde: «Benedetto nei secoli il Signore». Se viene eseguito il canto di offertorio, il celebrante dice queste preghiere sottovoce e l’assemblea non interviene. Nelle occasioni più solenni il celebrante può incensare l’altare e i doni posti su di esso, girando intorno all’altare e, successivamente, anche il sacerdote e il popolo possono ricevere l’incensazione dal diacono o da un accolito.
d) La lavanda delle mani del celebrante, accompagnata da una breve formula («Lavami, Signore, da ogni colpa, purificami da ogni peccato»), che esprime il desiderio di purificazione interiore, mentre nel passato aveva il significato di una vera e propria pulizia prima dell’inizio della preghiera eucaristica.
e) L’invito alla preghiera pronunciato dal celebrante e la relativa risposta dell’assemblea che insistono sul concetto del sacrificio offerto a Dio da tutto il popolo.
f) Nell’orazione sulle offerte che conclude la preparazione dei doni, vengono introdotti i grandi temi dell’offerta, della santificazione e del sacrificio che saranno al centro della preghiera eucaristica. L’orazione si conclude con l’«Amen» di approvazione dell’assemblea.
È auspicabile che la raccolta delle offerte in denaro si concluda prima della conclusione dell’orazione sulle offerte.
2.4.3 Il programma: la struttura della preghiera eucaristica
L’Ordinamento Generale del Messale Romano così introduce la preghiera eucaristica: «A questo punto ha inizio il momento centrale e culminante dell’intera celebrazione, la Preghiera Eucaristica, ossia la preghiera di azione di grazie e di santificazione. Il sacerdote invita il popolo a innalzare il cuore verso il Signore nella preghiera e nell’azione di grazie, e lo associa a sé nella solenne preghiera, che egli, a nome di tutta la comunità, rivolge a Dio Padre per mezzo di Gesù Cristo nello Spirito Santo. Il significato di questa preghiera è che tutta l’assemblea dei fedeli si unisce insieme con Cristo nel magnificare le grandi opere di Dio e nell’offrire il sacrificio. La Preghiera Eucaristica esige che tutti l’ascoltino con riverenza e silenzio» (OGMR, n. 78). Si tratta pertanto del vertice di tutta la messa, durante la quale si attualizzano il sacrificio e la cena del Signore Gesù: corrisponde pertanto all’azione di grazie che Gesù ha elevato al Padre nell’ultima cena.
Per molti secoli la Chiesa latina ha usato un’unica preghiera eucaristica, il cosiddetto Canone Romano. Con la riforma voluta dal Concilio Vaticano II ne sono state formulate altre tre che il Messale indica con numeri progressivi da 1 a 4, la prima delle quali è il Canone romano, la seconda rielabora una delle più antiche preghiere eucaristiche risalente al II-III secolo, mentre le altre due sono nuove composizioni. Successivamente ne sono state autorizzate altre sei: le due preghiere eucaristiche della riconciliazione e le quattro forme della preghiera eucaristica “per varie necessità”. Ad esse si aggiungono le tre preghiere eucaristiche per la messa dei fanciulli, caratterizzate da una maggiore semplicità e da un numero maggiore di interventi dell’assemblea con acclamazioni e brevi frasi, dette o cantate. Le diverse preghiere eucaristiche hanno un’unica struttura che contiene gli stessi elementi, anche se essi sono disposti in modo diverso e con caratteristiche proprie di ciascuna preghiera.
Gli elementi principali dai quali è costituita, in generale, la preghiera eucaristica sono i seguenti:
a) L’azione di grazie o prefazio, un inno in cui il celebrante, a nome di tutto il popolo, glorifica Dio Padre e gli rende grazie per tutta l’opera della salvezza, scegliendo uno dei numerosi prefazi contenuti nel messale a seconda della diverse festività o dei vari tempi liturgici. Il prefazio è introdotto da un dialogo tra il celebrante e l’assemblea: «In alto i nostri cuori», «Sono rivolti al Signore», «Rendiamo grazie al Signore, nostro Dio», «È cosa buona e giusta».
b) L’acclamazione o Santo che viene di norma cantato da tutta l’assemblea al termine del prefazio, il cui testo fa riferimento all’inno di lode degli angeli nel racconto della visione di Isaia e l’acclamazione del popolo all’ingresso di Gesù in Gerusalemme.
c) Le due epiclesi, le invocazioni dello Spirito Santo. Nella prima, che precede la consacrazione, il celebrante, stendendo le mani sulle offerte e tracciando un segno di croce sul pane e sul calice, chiede al Padre di inviare lo Spirito Santo sul pane e sul vino affinché nella consacrazione diventino il Corpo e il Sangue di Cristo. Nella seconda, che segue la consacrazione, prega lo Spirito affinché tutti noi, ricevendo il corpo di Cristo nella comunione, diventiamo una cosa sola con lui.
d) Il racconto dell’istituzione e la consacrazione: sono i momenti culminanti della preghiera eucaristica in cui, mediante il racconto della cena pasquale di Gesù e la ripetizione delle sue parole e dei suoi gesti, si compie il sacrificio che Cristo stesso istituì quando offrì il suo Corpo e il suo Sangue sotto le specie del pane e del vino, li diede da mangiare e da bere agli apostoli e lasciò loro il mandato di perpetuare questo mistero: «Fate questo in memoria di me».
e) L’anamnesi o memoriale in cui, rispondendo all’invito del celebrante: «Mistero della fede», l’assemblea recita o canta un’acclamazione con cui celebra il memoriale di Cristo, commemorando la sua passione, morte, sepoltura, risurrezione e ascensione al cielo, in attesa della sua venuta alla fine dei tempi.
f) L’offerta, con la quale l’assemblea radunata offre al Padre, nello Spirito Santo, Cristo e con lui i fedeli offrono se stessi per realizzare la loro unione con Dio e con i fratelli, perché finalmente Dio sia tutto in tutti. L’unità della Chiesa è invocata anche per il mondo intero e per tutti i fratelli defunti.
g) Le intercessioni, con le quali si esprime che l’eucaristia viene celebrata in comunione con tutta la Chiesa e che l’offerta è fatta per tutti i suoi membri, vivi e defunti.
h) La dossologia finale, che è una formula solenne di glorificazione della Trinità che viene proclamata o cantata dal celebrante (e, a volte, da tutti i sacerdoti concelebranti), elevando l’ostia e il calice: «Per Cristo, con Cristo e in Cristo, a te, Dio Padre onnipotente, nell’unità dello Spirito Santo, ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli». Questa acclamazione di lode viene ratificata e conclusa dall’«Amen» di tutto il popolo che conclude la preghiera eucaristica.
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Seguiranno, con cadenza mensile, ulteriori scritti che ci aiuteranno a fare nostro in modo più consapevole il significato liturgico dell’Eucarestia, comprendendone meglio anche il valore sacramentale e teologico. Bruno ci offre, così, un percorso per approfondire e riscoprire la ricchezza del rito della Santa Messa e per aiutarci a viverla con sempre maggiore intensità e consapevolezza.
Grazie, carissimo Bruno, anche per questo importante servizio che offri a tutti noi.
Un cordiale saluto a tutti.
Contardo Codegone
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Bruno Barberis
SIGNIFICATO, STRUTTURA E STORIA DEL RITO DELLA S. MESSA
2^ Parte
1.2. Le prime comunità giudeo-cristiane
Le prime comunità cristiane erano composte da ebrei, i quali non ruppero immediatamente i legami con il giudaismo e continuarono a frequentare i riti del tempio di Gerusalemme e delle sinagoghe. Ma ad essi aggiunsero la celebrazione della frazione del pane in memoria del Signore Gesù. Lo testimonia San Luca: «Ogni giorno erano perseveranti insieme nel tempio e, spezzando il pane nelle case, prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore» (At 2, 46).
A poco a poco, però, i cristiani incominciarono a prendere le distanze dalle osservanze giudaiche, a ritrovarsi in propri luoghi di preghiera, nei quali alla lettura della Legge e dei profeti si aggiungevano i racconti della passione e della risurrezione del Signore, dei suoi miracoli, dei suoi insegnamenti. Abbandonarono anche il sabato come giorno dedicato a Dio nel riposo e nel culto, sostituendolo con il primo giorno dopo il sabato, il giorno della risurrezione di Gesù (giorno che i romani chiamavano “giorno del Sole” e che solo nel IV secolo prenderà ufficialmente in tutto l’impero romano il nome di dies dominicus, “giorno del Signore”). La Didachè descrive chiaramente i riti celebrati nel giorno del culto a Dio: «Nel giorno del Signore, riuniti in assemblea, spezzate il pane e rendete grazie dopo aver confessato i vostri peccati, affinché il vostro sacrificio sia puro» (Didachè 14, 1). E riporta anche le preghiere proclamate durante la celebrazione eucaristica: «Per l’Eucaristia rendete grazie in questo modo. Anzitutto per il calice: “Ti rendiamo grazie, o Padre nostro, per la santa vigna di David, tuo servo; tu ce l’hai fatta conoscere per mezzo di Gesù, tuo figlio. Gloria a te nei secoli!”. Poi per il pane spezzato: “Ti rendiamo grazie, o Padre nostro, per la vita e la conoscenza che ci hai concesso per mezzo di Gesù, tuo figlio. Gloria a te nei secoli!» (Didachè 9, 1-3).
1.3 Le prime comunità greco-romane
Le comunità fondate da San Paolo e da altri discepoli nelle città del mondo greco-romano erano per lo più costituite da cristiani provenienti dal paganesimo e pertanto estranei alla religione e alle usanze ebraiche. Molti di loro praticavano i banchetti sacri legati alle offerte dei sacrifici agli dei, che spesso finivano in grandi abbuffate. Paolo, nella sua prima lettera ai Corinzi, si oppone con vigore all’abuso di mescolare i banchetti pagani con la celebrazione della cena del Signore: «Quando dunque vi radunate insieme, il vostro non è più un mangiare la cena del Signore. Ciascuno infatti, quando siete a tavola, comincia a prendere il proprio pasto e così uno ha fame, l’altro è ubriaco. Non avete forse le vostre case per mangiare e per bere? O volete gettare il disprezzo sulla Chiesa di Dio e umiliare chi non ha niente?» (1Cor 11, 20-22); «Non potete bere il calice del Signore e il calice dei demòni; non potete partecipare alla mensa del Signore e alla mensa dei demòni» (1Cor 10, 21).
Negli Atti degli Apostoli san Luca racconta un’assemblea domenicale presieduta proprio da Paolo: «Il primo giorno della settimana ci eravamo riuniti a spezzare il pane, e Paolo, che doveva partire il giorno dopo, conversava con loro e prolungò il discorso fino a mezzanotte. […] Paolo spezzò il pane, mangiò e, dopo aver parlato ancora molto fino all’alba, partì» (At 20,7.11). Le celebrazioni erano allietate da canti e preghiere, che Paolo stesso raccomanda ai cristiani di Efeso: «Siate ricolmi dello Spirito, intrattenendovi fra voi con salmi, inni, canti ispirati, cantando e inneggiando al Signore con il vostro cuore» (Ef 5, 18b-19). Ne parla anche Plinio il Giovane − un avvocato romano che fece condannare a morte molti cristiani − che nel 112 in una lettera all’imperatore Traiano scrive a proposito dei cristiani: «Il loro errore consisteva nella consuetudine di adunarsi in un giorno stabilito prima del levarsi del sole e cantare tra loro a cori alternati un canto in onore di Cristo, come a un dio».
La descrizione più dettagliata di una celebrazione eucaristica, già caratterizzata da una struttura ben definita, è quella tramandataci dal filosofo e martire San Giustino che verso il 153, in un testo indirizzato all’imperatore Antonino Pio, scrive: «Noi allora, dopo aver così lavato chi è divenuto credente e ha aderito, lo conduciamo presso quelli che chiamiamo fratelli, dove essi si trovano radunati, per pregare insieme fervidamente. Finite le preghiere, ci salutiamo l’un l’altro con un bacio. Poi al preposto dei fratelli vengono portati un pane e una coppa d’acqua e di vino temperato; egli li prende ed innalza lode e gloria al Padre dell’universo nel nome del Figlio e dello Spirito Santo, e fa un rendimento di grazie per essere stati fatti degni da Lui di questi doni. Quando egli ha terminato le preghiere ed il rendimento di grazie, tutto il popolo presente acclama: “Amen”. Dopo che il preposto ha fatto il rendimento di grazie e tutto il popolo ha acclamato, quelli che noi chiamiamo diaconi distribuiscono a ciascuno dei presenti il pane, il vino e l’acqua consacrati e ne portano agli assenti. È carne e sangue di quel Gesù incarnato. Questo cibo è chiamato da noi Eucaristia e a nessuno è lecito parteciparne, se non a chi crede che i nostri insegnamenti sono veri, si è purificato con il lavacro per la remissione dei peccati e la rigenerazione, e vive così come Cristo ha insegnato. Infatti noi li prendiamo non come pane comune e bevanda comune; ma come carne e sangue di quel Gesù incarnato. Infatti gli Apostoli, nelle loro memorie chiamate vangeli, tramandarono che fu loro lasciato questo comando da Gesù, il quale prese il pane e rese grazie dicendo: “Fate questo in memoria di me, questo è il mio corpo”. E parimenti, preso il calice, rese grazie e disse: “Questo è il mio sangue”; e ne distribuì soltanto a loro. […] E nel giorno chiamato “del Sole” ci si raduna tutti insieme, abitanti delle città o delle campagne, e si leggono le memorie degli apostoli o gli scritti dei profeti, finché il tempo lo consente. Poi, quando il lettore ha terminato, il preposto con un discorso ci ammonisce ed esorta ad imitare questi buoni esempi. Poi tutti insieme ci alziamo in piedi ed innalziamo preghiere; e, come abbiamo detto, terminata la preghiera, vengono portati pane, vino ed acqua, ed il preposto, nello stesso modo, secondo le sue capacità, innalza preghiere e rendimenti di grazie, ed il popolo acclama dicendo: “Amen”. Si fa quindi la spartizione e la distribuzione a ciascuno degli alimenti consacrati, e, attraverso i diaconi, se ne manda agli assenti. I facoltosi, e quelli che lo desiderano, danno liberamente ciascuno quello che vuole, e ciò che si raccoglie viene depositato presso il preposto. Questi soccorre gli orfani, le vedove, e chi è indigente per malattia o per qualche altra causa, e i carcerati e gli stranieri che si trovano presso di noi: insomma, si prende cura di chiunque sia nel bisogno. Ci raccogliamo tutti insieme nel giorno del Sole, poiché questo è il primo giorno nel quale Dio, trasformate le tenebre e la materia, creò il mondo; sempre in questo giorno Gesù Cristo, il nostro Salvatore, risuscitò dai morti. Infatti lo crocifissero la vigilia del giorno di Saturno, ed il giorno dopo quello di Saturno, che è il giorno del Sole, apparve ai suoi Apostoli e discepoli, ed insegnò proprio queste dottrine che abbiamo presentato anche a voi perché le esaminiate» (Apologia I, 65-67).
In questa dettagliata descrizione appaiono già chiaramente presenti e distinte le due parti principali della Messa che sono rimaste le stesse per due millenni fino ai giorni nostri: la liturgia della Parola e la liturgia eucaristica. La liturgia della Parola è di origine giudaica poiché le due letture separate dal canto dei salmi e l’omelia facevano già parte dei riti che si svolgevano nelle sinagoghe; la liturgia eucaristica prende spunto dai riti compiuti da Gesù e dalle parole da lui pronunciate durante l’Ultima Cena.
Le celebrazioni si svolgevano nelle case private dei cristiani, ma a partire dall’inizio del III secolo incominciarono ad essere costruite case dotate di un luogo destinato alla preghiera: le domus-ecclesiae, ovvero le antenate delle nostre chiese. La più antica giunta fino a noi è quella costruita nel 232 a Dura Europos in Siria, dotata di un battistero e di una sala per le riunioni dell’assemblea. Risale invece ai primi anni del IV secolo la più antica chiesa cristiana conosciuta, già dotata di navata rettangolare e presbiterio, scoperta a Qirq Bize, sempre in Siria.
Era il tempo delle persecuzioni e celebrare l’eucaristia voleva dire spesso rischiare la vita. Nel 258, durante la persecuzione dell’imperatore Valeriano, Papa Sisto II e sette diaconi furono arrestati mentre celebravano l’eucaristia nel cimitero di San Callisto a Roma e poi decapitati: tra di loro vi era anche San Lorenzo. Alcuni decenni dopo, durante la persecuzione dell’imperatore Diocleziano (303-304), ad Abitène, in Africa, 49 cristiani, guidati dal prete Saturnino furono sorpresi mentre celebravano l’eucaristia e affrontarono il martirio a Cartagine, proclamando: «Non possiamo vivere senza celebrare il giorno del Signore!».